As the European Parliament prepares to debate legislation on responsible mineral sourcing (“conflict minerals”), 70 Church leaders from 26 countries on 4 continents signed a common statement urging the EU to make the legislation’s requirements consistent in scope and binding for companies, rather than the current voluntary approach. In this joint statement, supported by CIDSE (International Cooperation for Development and Solidarity), the international alliance of Catholic development agencies, the Church leaders write that European citizens expect not to be made complicit in financing conflict and human rights abuses.
In many Southern countries, the control, extraction, processing and trade of resources like minerals, wood, gas and oil finance armed groups, security and military forces who commit severe violations of human rights. These resources could contribute to urgently needed human development. Too often, people who find themselves in proximity to great mineral deposits experience extremely difficult living conditions, and extract those minerals at the risk of their lives. The proposed regulation is supposed to prevent what is commonly called the “natural resource curse”.
But, in order to bring tangible change to suffering communities, the signatories of this statement highlight that the European Commission proposal should be further strengthened in a few critical ways.
Firstly, the proposal only covers four minerals: tin, tantalum, tungsten and gold. The letter underlines that in order to be consistent, a wider range of natural resources, such as copper, diamonds and other precious resources, should be included. During a visit to Brussels in early September, Father Ferdinand Muhigirwa Rusembuka SJ, from the Democratic Republic of the Congo (DRC) recalled the situation on the ground: “Nearly 5 million artisanal miners in DRC are suffering from inhuman labour conditions, sometimes endangered by illegal armed groups taxing the small revenues they manage to extract. But this is not only the case in my country; Colombian coal miners or Burmese gem diggers might face the same situation. But the current proposal from the European Commission wouldn’t cover these minerals and thus not take into account many conflicts around the world linked to natural resource extraction.”
Secondly, the scope of companies covered by the law should be broadened from the limited number of primary importers of covered materials, to address the shared responsibility of companies along the entire supply chain. As mentioned in the statement, “including end-user companies in the scope will allow European citizens to bring positive influence to bear in setting the conditions for morality in supply chains.”
This Church leaders’ letter is also a strong sign of solidarity with communities under threat, signified by the signatures of Bishops from a wide number of countries where there are serious human rights violations occurring in relation to natural resource extraction.
This expression of solidarity was concretely demonstrated earlier this summer when a delegation of European Bishops accompanied by CIDSE visited a mine in Guatemala and listened to the villagers who are protesting against the negative impacts of the project. Alongside the environmental impacts of the mine, one clear social impact is the increased criminalization of the protesters. Police, together with the company’s private security forces, had evicted peaceful protesters from the neighbouring communities on May 23, 2014. This is an increasingly common case in Latin America and around the world.
In light of this wider context, and acknowledging the powerful dynamics in regions affected by conflict, the Church leaders’ letter finally calls for a mandatory due diligence system that follows best practices of the related OECD guidance. The signatories assure that “nothing less will be able to change the behavior of companies and other actors.”
The legislation on conflict minerals will be discussed in the European Parliament starting in November. The Church leaders’ letter is part of a larger campaign by a coalition of NGO’s, including CISDE.
(source: Europeinfos #176)
Mentre il Parlamento europeo si prepara a discutere la legislazione sull’approvvigionamento responsabile dei minerali (i minerali estratti nelle zone di conflitto, a volte semplicemente chiamati “i minerali dei conflitti”), 70 rappresentanti della Chiesa cattolica in 26 Paesi dei quattro continenti hanno firmato una dichiarazione comune che invita l’UE a vigilare sulla coerenza delle nuove disposizioni legislative a livello del loro campo di applicazione e sul loro carattere giuridicamente vincolante per le imprese, anziché proseguire con l’attuale approccio su base volontaria. In questa dichiarazione comune, sostenuta dal CIDSE (Cooperazione internazionale per lo sviluppo e la solidarietà), rete internazionale di agenzie cattoliche per lo sviluppo, i firmatari affermano che i cittadini europei non vogliono rendersi complici di finanziamenti ai conflitti e di attentati ai diritti umani.
In numerosi paesi del Sud, il controllo, l’estrazione, la lavorazione e il commercio di risorse quali i minerali, il legno, il gas o il petrolio finanziano gruppi armati e forze militari e di sicurezza che si macchiano di gravi violazioni di diritti umani. Queste risorse potrebbero invece contribuire a uno sviluppo umano urgentemente necessario. Troppo spesso, coloro che si trovano in zone vicine alle grandi ricchezze hanno condizioni di vita estremamente pesanti ed estraggono queste ricchezze a rischio della propria vita. La proposta di regolamento dovrebbe prevenire quella che è communente definita “la maledizione delle risorse naturali”.
Per poter creare un cambiamento efficace per queste comunità sofferenti, i firmatari della dichiarazione mettono in evidenza la necessità che la proposta della Commissione europea sia ulteriormente rafforzata rispetto ad alcune questioni cruciali.
Innanzituttola proposta riguarda solo quattro minerali: stagno, tantalio, tungsteno e oro. Nella loro lettera, i firmatari sottolineano che affinché la proposta sia coerente, sarebbe necessario ampliare la gamma delle risorse naturali, comprendendo il rame, i diamanti e altre risorse preziose. Durante una visita a Bruxelles ai primi di settembre, p. Ferdinando Muhigirwa Rusembuka SJ, della Repubblica democratica del Congo (RDC), ha descritto la situazione sul campo: “Quasi 5 milioni di minatori artigianali nella RDC lavorano in condizioni disumane e, talvolta, si trovano in situazioni di pericolo a causa di gruppi armati illegali che impongono loro tasse su piccoli redditi che i minatori riescono a guadagnare con l’estrazione. Ma ciò non avviene solo nel mio paese: i minatori del carbone colombiano e i cercatori di diamanti birmani potrebbero trovarsi nella stessa situazione. L’attuale proposta della Commissione europea non riguarda questi minerali e, pertanto non tiene conto di numerosi conflitti in tutto il mondo legati all’estrazione di risorse naturali”.
In secondo luogo, dobbiamo espandere le categorie di imprese soggette alla legislazione per passare dal limitato numero d’importatori primari di materiali interessati dalla proposta alla responsabilità congiunta delle imprese lungo tutta la catena di approvvigionamento. Come si legge nella dichiarazione, “il fatto di estendere la portata del regolamento alle società utilizzatrici finali permetterà di rispondere alle esigenze dei cittadini europei in materia di moralità delle catene di approvvigionamento”.
La dichiarazione è anche un forte segno di solidarietà con le comunità minacciate, solidarietà espressa dalle firme dei vescovi provenienti da un gran numero di Paesi in cui vi sono gravi violazioni dei diritti umani in connessione con l’estrazione delle risorse naturali.
Questa espressione di solidarietà è stata concretamente dimostrata all’inizio dell’estate, quando una delegazione di vescovi europei, accompagnata dal CIDSE, ha visitato una miniera in Guatemala e ha ascoltato le lamentele degli abitanti dei villaggi che protestavano contro gli impatti negativi della miniera. Oltre alle conseguenze sull’ambiente, un impatto sociale del tutto evidente è la crescente criminalizzazione dei manifestanti. La polizia, che si occupa dei servizi di sicurezza privata della società mineraria, ha espulso i manifestanti pacifici delle comunità circostanti il 23 maggio. Questa è una situazione sempre più comune in America Latina e nel mondo.
Infine, tenuto conto di questo contesto più ampio, la dichiarazione dei rappresentanti cattolici, consapevole delle dinamiche per il potere che si giocano nelle zone di conflitto, chiede l’istituzione di un sistema di controllo che metta in pratica le raccomandazioni e le buone pratiche dell’OCSE in materia. I firmatari affermano che “è l’unico modo per modificare i parametri con cui vengono prese le decisioni dalle imprese e dalle altre parti interessate”.
La legislazione in materia di minerali provenienti da zone di conflitto sarà discussa dal Parlamento europeo nel mese di novembre. La lettera dei rappresentanti cattolici fa parte di una più ampia campagna condotta da una coalizione di organizzazioni non governative di cui fa parte anche la CIDSE.
(fonte: Europeinfos #176; traduzione italiana a cura di Eurcom)
Le Parlement Ue et les minerais des conflits
A l’heure où le Parlement européen se prépare à débattre de la législation sur l’approvisionnement responsable en minerais (les minerais originaires de zones de conflit, parfois simplement appelés “les minerais des conflits”), 70 dignitaires de l’Eglise catholique provenant de 26 pays sur les quatre continents ont signé une déclaration commune exhortant l’Union européenne à veiller à la cohérence des nouvelles dispositions législatives au niveau de leur champ d’application et à leur caractère juridiquement contraignant pour les entreprises plutôt que de poursuivre l’approche volontaire actuelle. Dans cette déclaration commune, soutenue par la CIDSE (Coopération Internationale pour le Développement et la Solidarité), l’alliance internationale d’agences de développement catholiques, les signataires affirment que les citoyens européens ne veulent pas être rendus complices du financement des conflits et des atteintes aux droits de l’homme.
Dans de nombreux pays du Sud, le contrôle, l’extraction, la transformation et le commerce de ressources naturelles telles que les minerais, le bois, le gaz ou le pétrole financent des groupes armés et des forces militaires et de sécurité qui se rendent coupables de graves violations des droits de l’homme. Or, ces ressources pourraient contribuer à un développement humain dont l’urgence se fait sentir. Trop souvent, ceux qui se trouvent dans des zones situées juste au-dessus de grandes richesses ont des conditions de vie extrêmement éprouvantes et extraient les minerais au péril de leur vie. La proposition de règlement est censée prévenir ce que l’on appelle couramment le phénomène de la “malédiction des ressources naturelles”.
Toutefois, pour pouvoir apporter un changement tangible aux communautés qui souffrent, les signataires de la déclaration mettent en évidence la nécessité de renforcer la proposition de la Commission européenne sur plusieurs points cruciaux.
Tout d’abord, la proposition ne concerne que quatre minerais : l’étain, le tantale, le tungstène et l’or. Dans leur missive, les signataires soulignent que pour que la proposition soit cohérente, il faudrait élargir l’éventail des ressources naturelles, en incluant notamment le cuivre, les diamants et autres ressources précieuses. Lors d’une visite à Bruxelles début septembre, le Père Ferdinand Muhigirwa Rusembuka SJ, de la République démocratique du Congo (RDC), a rappelé la situation sur le terrain : “Près de 5 millions de mineurs artisanaux en RDC travaillent dans des conditions inhumaines et se retrouvent parfois dans des situations dangereuses à cause de groupes armés illégaux qui leur imposent des taxes sur les petits revenus que les mineurs réussissent à tirer de l’extraction. Mais ce n’est pas seulement le cas dans mon pays : les mineurs de charbon colombiens et les chercheurs de diamants birmans pourraient se retrouver dans la même situation. Or, la proposition actuelle de la Commission européenne ne concerne pas ces minerais et ne tient donc pas compte des nombreux conflits de par le monde qui sont liés à l’extraction des ressources naturelles”.
Deuxièmement, il faut élargir les catégories d’entreprises visées par la législation pour passer d’un nombre limité d’importateurs primaires des matériaux relevant de la proposition à la responsabilité commune des entreprises d’un bout à l’autre de la chaîne d’approvisionnement. Comme le mentionne la déclaration, “le fait d’étendre la portée du règlement aux sociétés utilisatrices finales permettra de répondre aux exigences des citoyens européens en matière de moralité des chaînes d’approvisionnement”.
Cette missive des dignitaires catholiques est également un signe fort de solidarité avec les communautés menacées, exprimé par les signatures d’évêques venant d’un grand nombre de pays où se produisent de graves violations des droits de l’homme en liaison avec l’extraction des ressources naturelles.
Cette expression de solidarité a été concrètement démontrée au début de l’été lorsqu’une délégation d’évêques européens, accompagnée par la CIDSE, a visité un site minier au Guatemala et écouté les plaintes des villageois, qui manifestaient contre les répercussions négatives du projet de mine. Outre les impacts de la mine sur l’environnement, un impact social tout à fait clair est l’augmentation de la criminalisation des manifestants. La police, associée aux services de sécurité privée de la société minière, a expulsé des manifestants non violents des communautés avoisinantes le 23 mai dernier. C’est une situation de plus en plus courante en Amérique latine et dans le reste du monde.
Enfin, compte tenu de ce contexte plus large, la déclaration des dignitaires catholiques, reconnaissant la puissance des dynamiques qui s’affrontent dans les zones de conflit, demande l’instauration d’un système de diligence obligatoire qui mette en œuvre les recommandations et les bonnes pratiques du guide de l’OCDE en la matière. Les signataires affirment que “c’est la seule façon de changer les paramètres de prise de décision des entreprises et d’autres acteurs”.
La législation sur les minerais provenant des zones de conflit sera discutée au Parlement européen dès le mois de novembre. La missive des dignitaires catholiques s’inscrit dans une campagne plus large, menée par une coalition d’ONG comprenant la CIDSE.
(source: Europeinfos #176)
Das Eu Parlament Mineralien aus Konfliktgebieten
Das EU-Parlament wird bald seine Beratungen zu dem von der Europäischen Kommission vorgelegten Entwurf einer EU-Verordnung zu einer „verantwortungsvollen Handelsstrategie für Mineralien aus Konfliktgebieten“ („Konfliktmineralien”) aufnehmen. Vor diesem Hintergrund riefen nun 70 Bischöfe aus 26 Ländern in vier Kontinenten das EU-Parlament zur Nachbesserung des Verordnungsentwurfs auf; in einer gemeinsamen Erklärung appellierten sie an das Parlament, den Geltungsbereich der Verordnung hinsichtlich der betroffenen Rohstoffe und Unternehmen konsequent auszuweiten sowie verbindliche Regelungen zur Sorgfaltspflicht einzuführen, statt auf eine rein freiwillige Selbstzertifizierung von Unternehmen zu setzen. Die europäischen Bürgerinnen und Bürger möchten sicher sein, dass sie nicht mitschuldig an Ausbeutung und Gewalt werden, betonten die Bischöfe in ihrem Aufruf, der von der CIDSE (Internationale Arbeitsgemeinschaft für Entwicklung und Solidarität), der internationalen Allianz katholischer Entwicklungsorganisationen, initiiert worden war.
In vielen Ländern des Südens werden durch den Besitz, den Abbau, die Verarbeitung und den Verkauf von Rohstoffen wie Mineralien, Holz, Gas und Erdöl bewaffnete Gruppen, Sicherheits- und Streitkräfte finanziert, die sich schwerer Menschenrechtsverstöße schuldig machen. Mit den Einnahmen aus dem Rohstoffsektor ließe sich die Not der einheimischen Bevölkerung spürbar lindern. Denn oft leiden die Menschen trotz ihrer Bodenschätze unter extrem schwierigen Lebensbedingungen; zudem setzen sie beim Rohstoffabbau ihr eigenes Leben aufs Spiel. Die geplante EU-Verordnung soll diesem allgemein als „Ressourcenfluch“ bezeichneten Phänomen entgegenwirken.
Um aber die Situation der lokalen Bevölkerung merklich zu verbessern, müsse der von der EU-Kommission vorgelegte Entwurf in einigen entscheidenden Aspekten nachgebessert werden, unterstrichen die Unterzeichner der Erklärung.
Erstens erstreckt sich der Entwurf nur auf vier Mineralien, nämlich auf Zinn, Tantal, Wolfram und Gold. In ihrem Brief weisen die Verantwortlichen der Katholischen Kirche darauf hin, dass die Verordnung nur dann wirklich stringent sei, wenn sie weitere natürliche Ressourcen wie Kupfer, Diamanten oder andere wertvolle Rohstoffe einbeziehe. Während seines Besuchs in Brüssel Anfang September schilderte P. Ferdinand Muhigirwa Rusembuka SJ aus der Demokratischen Republik Kongo (DRC) die Lage vor Ort wie folgt: „In der DR Kongo leiden fast fünf Millionen Bergleute im Kleinbergbau unter unmenschlichen Arbeitsbedingungen, die zum Teil noch dadurch verschärft werden, dass illegale bewaffnete Gruppen von den Arbeitern Abgaben auf ihre sowieso nur niedrigen Gewinne aus dem Mineralienabbau eintreiben. Nicht nur in meinem eigenen Heimatland ist dies der Fall; auch Kohlebergleute in Kolumbien oder Edelsteinschürfer in Burma befinden vermutlich in der gleichen Situation. Doch der aktuelle Vorschlag der Europäischen Kommission umfasst diese Mineralien nicht, so dass viele Konflikte, die weltweit durch den Abbau von Rohstoffen finanziert werden, gar nicht von der Regelung erfasst würden.”
Zweitens solle der Geltungsbereich der Verordnung ausgeweitet werden – von der begrenzten Zahl an Erstimporteuren der unter die Verordnung fallenden Rohstoffe hin zu einer gemeinsamen Verantwortung aller Unternehmen entlang der Wertschöpfungskette. So heißt es in der Erklärung der Bischöfe: „Werden auch die Unternehmen, die am Ende der Lieferkette der Rohstoffverwendung stehen, einbezogen, so können alle europäischen Bürgerinnen und Bürger ihren positiven Einfluss geltend machen, um die Voraussetzungen für mehr Moral in der Lieferkette zu schaffen.”
Mit ihrem Brief setzen die Verantwortlichen der Katholischen Kirche gleichzeitig ein sichtbares Zeichen der Solidarität mit den betroffenen Bevölkerungsgruppen in den Abbaugebieten von Konfliktrohstoffen; dies zeigen die Unterschriften von Bischöfen aus einer Vielzahl von Ländern, in denen die Förderung von natürlichen Ressourcen oft mit schweren Menschenrechtsverletzungen einhergeht.
Diese Solidarität wurde im Frühsommer dieses Jahres konkret erfahrbar, als eine von der CIDSE begleitete Delegation europäischer Bischöfe ein Abbaugebiet in Guatemala besuchte. Die Delegierten trafen sich auch mit Dorfbewohnern, die gegen die negativen Auswirkungen des Bergbauprojekts protestieren, und erfuhren von ihnen, dass der Rohstoffabbau nicht nur gravierende ökologische, sondern auch schwerwiegende soziale Folgen habe, da Demonstranten zunehmend kriminalisiert würden. Die Polizei hatte am 23. Mai 2014 gemeinsam mit den privaten Sicherheitskräften des Unternehmens friedliche Demonstranten aus den angrenzenden Gemeinden gewaltsam von den Minen entfernt. Zu derartigen Vorfällen kommt es immer häufiger – nicht nur in Lateinamerika, sondern auch in vielen anderen Ländern weltweit.
Die Problematik des Rohstoffhandels in diesem größeren Kontext betrachtend und der ausgeprägten Dynamik in den Konfliktgebieten Rechnung tragend, fordern die Verantwortlichen der Katholischen Kirche zum Abschluss ihrer Erklärung verbindliche Regelungen, die sich an den bewährten Praktiken des entsprechenden OECD-Leitfadens orientieren. Die Unterzeichner versichern, dass „nichts anderes als verpflichtende Regeln das Handeln von Unternehmen und sonstigen Akteuren ändern kann“.
Über die geplante Verordnung zu Konfliktmineralien wird ab November im EU-Parlament beraten werden. Das Schreiben der Bischöfe ist Teil einer größeren Kampagne, die von einer Gruppe von Nichtregierungsorganisationen, darunter auch der CIDSE, lanciert wurde.
(quelle: Europeinfos #176)
Denise Auclair
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- The EuParliament and theconflict minerals - 5 novembre 2014