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    This April saw the launch of the one-year period for national governments to ratify the Paris Agreement on climate change reached at the Cop 21 in Paris, the final stage before entry into force.

    The international community greeted with enthusiasm the substantial Paris Agreement on climate change produced last December by the Unfccc 21st meeting of the Conference of the Parties (Cop 21). Since it first came out, this Agreement has been analysed in many circles, including by us in EuropeInfos. We also agree that it achieved the fundamental goals of the negotiation: recognition that 2 ºC should be set as the upper limit of average global temperature increase, commitment to providing the necessary finance, and recognition of the common yet differentiated responsibilities as a guiding principle.

    The Agreement has also found pragmatic solutions for addressing the most controversial issues. For example, setting voluntary national objectives that allow national sovereignty to be preserved, and establishing periodical reviews that will in the future enable the common responsibilities to be distributed more efficiently.

    Time for ratifications

    After approval of the Agreement in Paris, now comes the official stage for governments to embark upon their national procedures for depositing their “instruments of ratification, acceptance, approval or accession”. This period was launched on 22 April at a high-level ceremony at the Un headquarters in New York and it will run until April 2017. The minimum number of ratifications for the Agreement to enter at once into force is 55 of the 195 countries that are not only signatories to the Un Convention but also together accounting for not less than 55% of total global emissions. The chances of the Agreement being ratified are high, because countries like China, Us, India, Russia, Japan and the European Union, who together account for over 70% of the total emissions, have already expressed their willingness to do so.

    At the moment of ratification, each state is also required to submit its first nationally determined contribution (Ndc). These “contributions” are the greenhouse gas emissions reduction targets that the countries intend to achieve. At the time of writing this, only 17 countries have submitted their official ratification instruments, but the international community is confident that the quorum of 55 will be achieved. There are even a number of commentators predicting that the Agreement could be fully operational by 2018, without waiting until 2020.

    In brief, ratification of the Agreement also triggers the time for implementation by the nation states. Decisions have to be taken to “decarbonise” the economy. This will inevitably speed up the transition towards renewable sources of energy. After the ratification of the Agreement the states have to demonstrate not only willingness but also concrete actions leading towards the achievement of the declared national contributions.

    Underestimated costs

    There is also a high degree of confidence that the financial commitments –estimated as totalling 100 billion dollars per year up to 2050 – will be covered. Reports disclosed by the Organisation for Economic Cooperation and Development during the Cop 21 showed that more than 60% of this figure has already been invested by the international community. Nevertheless, a recent report by the United Nations Environment Programme has warned that adaptation costs have so far been underestimated. In fact, the report shows that at least four or five times that amount will be needed to meet the challenges that climate change will bring by 2050.

    Although these are estimated figures only, and therefore subject to further research and confirmation, it is interesting to observe that there are more calls nowadays for greater attention to be paid to adaptation than was the case during previous negotiations. When talking about the most vulnerable people affected by climate change, it is clear that adaptation has become crucial.

    In our view, the process of the Paris Agreement is moving in the right direction. Although the risks are not removed, we must recognise that today at least we now have a consistent legal framework that can foster optimism, or at least open up hopes that the spirit of responsibility will be the guiding principle in international dealings in this field.

    The influence of Laudato si’

    We are now celebrating the first anniversary of Pope Francis’s Encyclical Laudato sí. This Encyclical certainly exercised a highly very positive influence on the road to Paris. The voice of the Pope, and through him that of the Church, provided robust moral support for an ambitious and binding agreement to be reached. Of course, the future challenge facing civil society is huge. However, the Encyclical shows that there is also a long road ahead for the Church herself when coming to grips with environmental issues.

    After the massive response to the appearance of the Encyclical, the attention has been given to understand its content. But now, we should move to get environmental issues accepted as part and parcel of both our thinking and the way we live our lives, will this then be seen as the greatest contribution of the Church to this process.

    (source: Europeinfos #194)

    La comunità internazionale ha accolto con entusiasmo l’Accordo sostanziale di Parigi sul cambiamento climatico, nato lo scorso dicembre alla 21ª riunione Unfccc della Conferenza delle Parti (Cop 21). Non appena reso pubblico, l’Accordo è stato esaminato in molti ambienti; anche su Europeinfos abbiamo concordato sul fatto che esso ha realizzato gli obiettivi fondamentali della trattativa: il riconoscimento che 2° C deve essere il limite massimo di aumento medio globale della temperatura, l’impegno a fornire i finanziamenti necessari e il riconoscimento delle responsabilità comuni sebbene differenziate come principio guida. L’Accordo ha anche trovato soluzioni pragmatiche per affrontare le questioni più controverse. Ad esempio, la definizione di obiettivi nazionali volontari che consentano di preservare la sovranità nazionale, stabilendo verifiche periodiche che in futuro consentiranno di distribuire in modo più efficiente le responsabilità comuni.

    Il tempo delle ratifiche

    Dopo l’approvazione dell’Accordo di Parigi, ora arriva la fase ufficiale in cui i governi dovranno intraprendere le procedure nazionali per depositare i loro “strumenti di ratifica, accettazione, approvazione o adesione”. Questo periodo è stato avviato il 22 aprile durante una cerimonia di alto livello presso la sede delle Nazioni Unite a New York e durerà fino all’aprile 2017. Il numero minimo di ratifiche necessarie affinché l’Accordo entri in vigore è di 55 su 195 Paesi firmatari della Convenzione delle Nazioni Unite, che sono anche coloro che producono non meno del 55% del totale delle emissioni globali. Le probabilità che l’Accordo sia ratificato sono alte, perché Paesi come Cina, Stati Uniti, India, Russia, Giappone e Unione Europea, che insieme rappresentano oltre il 70% del totale delle emissioni, hanno già espresso la loro volontà di farlo.

    Al momento della ratifica, ogni Stato è tenuto a presentare il suo primo Contributo determinato a livello nazionale (Ndc). Questi “contributi” sono gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra che i Paesi intendono raggiungere. Al momento della stesura del presente articolo, solo 17 Paesi hanno presentato i loro strumenti di ratifica ufficiale, ma la comunità internazionale è fiduciosa che il quorum dei 55 sarà raggiunto. Un certo numero di commentatori prevede persino che l’Accordo potrebbe essere pienamente operativo entro il 2018, senza aspettare il 2020.

    La ratifica dell’Accordo dà quindi inizio alla fase d’implementazione da parte degli Stati-nazione. Sono state assunte decisioni per “de-carbonizzare” l’economia. Questo inevitabilmente accelererà la transizione verso le fonti di energia rinnovabili. Dopo la ratifica dell’Accordo, gli Stati devono dimostrare non solo la volontà, ma anche le azioni concrete che le porteranno verso il raggiungimento dei contributi nazionali dichiarati.

    Costi sottostimati

    Vi è anche un alto grado di fiducia che gli impegni finanziari – stimati per un totale di 100 miliardi di dollari all’anno fino al 2050 – saranno mantenuti. I rapporti divulgati dalla Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico durante la Cop 21 hanno mostrato che oltre il 60% di questa somma è già stato investito dalla comunità internazionale. Tuttavia, un recente rapporto del Programma ambientale delle Nazioni Unite ha avvertito che i costi di adattamento sono stati finora sottovalutati. Il rapporto mostra che sarà necessaria una cifra almeno quattro o cinque volte tale importo per affrontare le sfide che il cambiamento climatico porterà entro il 2050. Anche se si tratta di cifre stimate, e quindi soggette a ulteriori studi e conferme, è interessante osservare che oggi ci sono più appelli a una maggiore attenzione per l’adattamento di quanto non fosse avvenuto durante i precedenti negoziati. Quando si parla di popoli vulnerabili colpiti dai cambiamenti climatici, è chiaro che l’adattamento è diventato cruciale.

    A nostro avviso, il processo dell’Accordo di Parigi si sta muovendo nella giusta direzione. Anche se i rischi non sono stati rimossi, dobbiamo riconoscere che almeno ora abbiamo un quadro giuridico coerente che può favorire l’ottimismo, o almeno aprire alla speranza che lo spirito di responsabilità sarà il principio guida nei rapporti internazionali in questo campo.

    L’influsso della Laudato si’

    Stiamo celebrando il primo anniversario dell’Enciclica Laudato si’ di papa Francesco. Questa Enciclica ha certamente esercitato un’influenza molto positiva sulla strada per Parigi. La voce del Papa, e attraverso di lui della Chiesa, ha offerto un robusto sostegno morale perché fosse raggiunto un accordo ambizioso e vincolante. Naturalmente, la sfida futura per la società civile sarà enorme. Tuttavia, l’Enciclica mostra che anche la Chiesa ha una lunga strada da percorrere per quel che riguarda i problemi ambientali.

    Dopo la risposta massiccia alla pubblicazione dell’Enciclica, l’attenzione è stata data a comprenderne il contenuto. Ora dovremo far sì che le questioni ambientali siano accettate come parte integrante del nostro pensiero e del nostro modo di vivere; questo sarà visto come il più grande contributo della Chiesa a tale processo.

    (fonte: Europeinfos #194; traduzione italiana a cura di Eurcom)

    Cop21: l’Accord de Paris est bien parti

    Ce mois d’avril a vu le lancement de la période d’un an dont disposent les gouvernements nationaux pour ratifier l’Accord de Paris sur le changement climatique, conclu à Paris lors de la Cop21. C’est le stade final avant l’entrée en vigueur de l’Accord.

    La communauté internationale a accueilli avec enthousiasme l’important Accord de Paris sur le changement climatique, auquel est parvenue en décembre dernier la 21ème Conférence des Parties (Cop21) de la Convention Cadre des Nations Unies sur le changement climatique (Ccnucc). Depuis sa sortie, cet accord a été analysé dans de nombreux milieux, dont l’équipe d’EuropeInfos. Nous sommes nous aussi d’accord pour dire que les objectifs fondamentaux des négociations ont été atteints dans ce texte, à savoir: reconnaître qu’une limite supérieure de 2 ºC devrait être fixée pour l’élévation de la température moyenne de la planète, s’engager à fournir le financement nécessaire et reconnaître comme principe directeur les responsabilités communes mais différenciées des uns et des autres.

    Des solutions pragmatiques ont également été trouvées dans l’Accord pour traiter des questions les plus controversées, comme par exemple la détermination d’objectifs nationaux volontaires qui permettront à la souveraineté nationale d’être préservée, ou l’organisation de révisions périodiques qui permettront à l’avenir une répartition plus efficace des responsabilités communes.

     L’heure des ratifications

    Après l’approbation de l’Accord à Paris, voici maintenant le stade officiel où les gouvernements lancent leurs procédures nationales de dépôt de leurs “instruments de ratification, d’acceptation, d’approbation ou d’adhésion”. Cette période a été inaugurée le 22 avril dernier lors d’une cérémonie à haut niveau au siège des Nations Unies à New York et elle durera jusqu’en avril 2017. Le nombre minimum de ratifications pour que l’Accord puisse entrer en vigueur est de 55 par rapport aux 195 pays qui sont non seulement signataires de la Convention des Nations Unies mais qui représentent aussi au total pas moins de 55% de l’ensemble des émissions dans le monde. Il y a de fortes chances que l’Accord soit ratifié, car des pays comme la Chine, les Etats-Unis, l’Inde, la Russie, le Japon ou l’Union européenne, qui représentent au total plus de 70% de l’ensemble des émissions, ont déjà exprimé leur volonté de le faire.

    Au moment de la ratification, chaque Etat doit également soumettre une première contribution déterminée au niveau national (Ndc). Ces “contributions” sont les objectifs de réduction des émissions de gaz à effet de serre que les pays ont l’intention d’atteindre. Au moment d’écrire ces lignes, seuls 17 pays ont soumis leurs instruments officiels de ratification, mais la communauté internationale a bon espoir que le quorum de 55 sera atteint. Il y a même un certain nombre de commentateurs qui prévoient que l’Accord pourrait être pleinement opérationnel d’ici 2018, sans attendre jusqu’en 2020.

    Bref, la ratification de l’Accord enclenche aussi sa mise en œuvre par les Etats nations. Des décisions doivent être prises pour “décarboniser” l’économie. Ceci accélérera inévitablement la transition vers des sources d’énergie renouvelables. Après la ratification de l’Accord, les Etats doivent faire la preuve non seulement de leur volonté en la matière mais aussi de leur capacité à prendre des mesures concrètes aboutissant à la réalisation des contributions nationales déclarées.

     Une sous-estimation des coûts

    Il y a également très bon espoir que les engagements financiers qui ont été pris –et qui sont estimés au total à 100 milliards de dollars par an jusqu’en 2050 – soient honorés. Des rapports révélés par l’Organisation de coopération et de développement économiques pendant la Cop 21 ont montré que plus de 60% de ce montant a déjà été investi par la communauté internationale. Néanmoins, un récent rapport du Programme des Nations Unies pour l’Environnement (Pnue) indique que les coûts d’adaptation au changement climatique ont été sous-estimés jusqu’à présent. En fait, le rapport montre qu’il faudra au moins quatre à cinq fois ce montant pour relever les défis que va poser le changement climatique d’ici 2050.

     Bien qu’il s’agisse uniquement d’estimations, qui devront donc faire l’objet d’autres études et confirmations, il est intéressant de constater qu’il y a aujourd’hui bien plus d’appels à se préoccuper davantage d’adaptation que ce n’était le cas lors des précédentes négociations. Lorsqu’on parle des personnes les plus vulnérables qui sont touchées par le changement climatique, il est clair que l’adaptation est devenue d’une importance cruciale.

    A notre avis, le processus de l’Accord de Paris est bien parti. Même si les risques ne sont pas éliminés, il faut reconnaître qu’aujourd’hui, nous avons au moins un cadre juridique cohérent qui peut susciter l’optimisme ou au moins nourrir l’espoir que le sens des responsabilités sera le principe directeur des transactions internationales dans ce domaine.

     L’influence de Laudato si’

    Nous célébrons actuellement le premier anniversaire de l’encyclique Laudato sí du pape François. Cette encyclique a certainement exercé une influence extrêmement positive sur la préparation de la conférence de Paris. La voix du pape, et à travers lui celle de l’Eglise, a apporté un solide soutien moral permettant d’arriver à un accord ambitieux et juridiquement contraignant. Naturellement, le futur défi auquel est confrontée la société civile est énorme. L’encyclique montre néanmoins que l’Eglise a elle aussi énormément de chemin à faire lorsqu’il s’agit de faire face aux problèmes environnementaux.

     Après les très nombreuses réactions qu’a suscitées la sortie de l’encyclique, l’attention s’est portée sur la compréhension de son contenu. Mais aujourd’hui, nous devons agir pour faire accepter l’idée que les problèmes environnementaux font partie intégrante de notre réflexion comme de notre mode de vie. C’est ce qui sera considéré comme la plus grande contribution de l’Eglise à ce processus.

    (source: Europeinfos #194)

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      José Ignacio García

      Director of Jesuit European Social Centre (www.jesc.eu)

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