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    The response of the British people to the EU has arrived.

    The comments, reactions and concerns of one side stand hard-nosed with the other side’s ones.

    Nightmares, collapses, resignations are looming.

    A sad and predictable scenario, but it is not the time to lose one’s head, raising walls against walls.

    It is not the time to build defensive fortifications or attacking war machines, it is the time of serious assessments but not of final judgments of a choice that is of a people who have not decided to leave democracy.

    It is the time of self-examination on both sides, but still, this would be an unfinished path if no ideas and innovative choices for the future of the European project and, why not, of the English people as well were born.

    It is true, the founders of the common European home have been largely betrayed by those who mention them a lot but follows them very little, but to these “fathers” we need to return because their great lesson has been and remains not to build walls.

    A difficult path opens up and it is not at all certain that the English sign is the latest one.

    No time has to be wasted to give meaning to the European path again, to make it a concrete sign of peace, justice and solidarity in Europe and in the world.

    The time must expire of the power of bureaucrats and technocrats, and the ticking of the cultural and political clock is to be resumed.

    For example, the paths of hope as the Erasmus ones for young people are not to be closed because it is largely from them that a new thought, a new project, a new dream may come.

    Above all with them the highest and most beautiful meaning of being European citizens can be found again.

    Of course, this is certainly a small step but small steps are necessary to ensure that the catastrophic predictions after the English vote do not enter the sterile field of the controversy and of the “punitive” measures but become occasions to free the European Union from the illusion of surviving and standing only with the crutches of the market and banks.

    From the outcome of a referendum, even from this one, always comes a severe warning but also an appeal and encouragement to build meeting places and not walls of separation.

    La risposta del popolo britannico all’Ue è arrivata.

    I commenti, le reazioni, le preoccupazioni di una parte si misurano a muso duro con quelli della parte avversaria.

    Si profilano incubi, crolli, dimissioni.

    Uno scenario triste e prevedibile, ma non è il momento di perdere la testa alzando muri contro muri.

    Non è il tempo di costruire fortificazioni difensive o macchine da guerra d’attacco; è il tempo di valutazioni serie ma non di sentenze definitive su una scelta che è di un popolo, che non ha deciso di uscire dalla democrazia.

    È il tempo degli esami di coscienza di una parte e dell’altra ma ancora, questo, sarebbe un percorso incompiuto se non nascessero idee e scelte innovative per il futuro del progetto europeo e, perché no, anche del popolo inglese.

    È vero, i fondatori della casa come europea sono stati in buona parte traditi da chi li cita molto ma li segue molto poco, ma a questi “padri” occorre tornare perché la loro grande lezione è stata e rimane quella di non alzare muri.

    Si apre un cammino faticoso e non è affatto detto che quello inglese sia l’ultimo segnale.

    Non c’è tempo da perdere per ridare significato al percorso europeo, per renderlo concreto segno di pace, giustizia e solidarietà in Europa e nel mondo.

    Deve scadere il tempo del potere dei burocrati e dei tecnocratici e deve riprendere il tic tac dell’orologio culturale e politico.

    Ad esempio, non si chiudano quei sentieri di speranza rappresentati dal progetto Erasmus per i giovani, perché soprattutto da loro possono venire un nuovo pensiero, un nuovo progetto, un nuovo sogno.

    Soprattutto con loro si potrà ritrovare il significato più alto e più bello di essere cittadini europei.

    Certo, questo è un piccolo passo, ma i piccoli passi sono indispensabili per far sì che le catastrofiche previsioni dopo il voto inglese non entrino nel campo sterile delle polemiche e delle misure “punitive”, ma diventino occasioni per liberare l’Unione europea dall’illusione di stare in piedi solo con le stampelle del mercato e delle banche.

    Dall’esito di un referendum popolare, anche da questo, viene sempre un monito severo, ma anche vengono un appello e un incoraggiamento a costruire spazi d’incontro e non muri di separazione.

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