There’s no doubt that the triumph of the radical left in Greece had been widely heralded for months. People couldn’t take it any more, so they went for someone who could now tell them there’s still hope. And this will be the hardest thing, first and foremost for Tsipras, then for the European institutions. I don’t think there’s any real possibility of a Grexit, if you know what I mean (Greece’s withdrawal from the euro-zone): nobody wants it, it would make no sense for anyone, especially after the costs borne for the rescue that was decided back in 2012. The same goes for the skirmishes of the attack against the reasons of the Troika, that scenario belongs to the past, it has been dismissed after last May’s European election and the creation of a number of instruments to protect the European monetary system. Of course, the supporters of the austerity measures cannot disavow the entire backbone of the policies of the last few years, but Greece also needs a shot in the arm to let the new Government loosen its grip and have some fresh funds running in to relieve its most extreme forms of poverty and social exclusions. Many of the plans announced during the election campaign will not be acted upon, but something will be done. Probably through some freezing and rescheduling of the debt, even if even now the average term of Greek debt is at least twice longer than the Italian or German ones. After all, leaving aside the tweets coming from the supporters of both sides, everyone knows that, in the state it is, Greece needs to loosen its grip, otherwise it will simply explode, soon surrendering the country up to out-and-out disaster and to neo-Fascist and Nazi extremists. And the markets have been the first to sense that. Politics will follow.
What, however, Tsipras’ victory is putting with renewed clarity on the table of European politics is the double issue that had already raised its head during the latest European election campaign but that unfortunately was quickly stifled by the first few months of the new parliament. And it consisted, on one hand, in finally addressing the golden question (as written in the Treaties themselves, art, 3) that job creation and sustainable growth, along with proper budget responsibility, is the common challenge. On the other hand, the knotty problems of a review of the EU’s economic governance, which, as everybody knows, is still essentially incomplete and crippled, by one single, powerful monetary policy, by an incomplete banking policy, but by the lack of a common fiscal and economic, industrial and social policy. It was the package of the four Presidents of three years ago, does anyone remember that? It was the conclusion of the Pact for Employment and Growth of June 2012, which allocated 120 billion’s worth of new investments, of which very little or nothing is left.
In other words, it is the complex, knotty problem, not entrusted to the national governments, of a common realisation that, seven years after the onset of the crisis, it is the whole of Europe that is still unwell, while others are not (USA), and that European governance must be structurally rebalanced to achieve a common management of debt in euros (or at least some of it), common fiscal policies, new resources for strategic investments and, yes, also investments for social and local cohesion, which must above all help, with fresh resources, those who are worse off. The Italian presidency of the EU too tried to push on this challenge, but so far the rules of flexibility have only just slightly relaxed. As to the rest, we will have to wait and see, maybe in the summer, if Juncker’s investment plan takes off, and depending on how it takes off. For the time being, the only institution that seems to be taking bold and not always shared decisions is the European Central Bank, but the monetary policy, on its own, even if bidding on all its chances, can only buy time. Dramatic reforms are needed, along with new, jointly-developed investment policies.
Now, it is up to Tsipras and his allies to find a good solution for Greece. The others will have to bravely tackle together the big key issues and the ensuing dilemmas, at last. Before the British election, and before the Spanish one. Otherwise, very little will actually change.
È indubbio che la vittoria della sinistra radicale in Grecia fosse largamente annunciata da mesi. La gente non ne poteva più e ha cercato qualcuno che potesse ora dirgli che c’è un’altra speranza. E qui verrà il difficile, in primis per Tsipras e poi per le istituzioni europee. Non credo sia credibile alcuna ipotesi Grexit per intendersi (uscita dall’Euro): non la vuole nessuno, sarebbe insensata per tutti, soprattutto dopo i costi sostenuti per il salvataggio deciso nel 2012. Così anche per le schermaglie dell’attacco alle ragioni della Troika si tratta di uno scenario oramai del passato, archiviato con le elezioni europee del maggio scorso e con la creazione di una serie di garanzie del sistema monetario europeo. Certo, i tenori delle politiche del rigore di bilancio non possono sconfessare l’intera architrave delle politiche di questi anni, ma la Grecia ha anche bisogno di una boccata d’ossigeno per consentire al nuovo Governo di allentare le morsa e avere dei fondi freschi per alleviare le situazioni più estreme di povertà e di emarginazione. Molti dei progetti annunciati resteranno da campagna elettorale, ma qualcosa si farà. Probabilmente grazie ad una qualche forma di congelamento e riscadenziamento di parte del debito, pur essendo già oggi la durata media del debito greco almeno due volte più lunga di quello dell’Italia o della Germania. D’altro canto, lasciati da parte i tweet dei tenori dei due campi, tutti sanno che, nella condizione data, la Grecia ha bisogno di allentare la morsa, altrimenti semplicemente esplode, consegnando a breve il Paese al disastro definitivo e agli estremisti neofascisti e nazisti. E i mercati sono i primi ad averlo capito. La politica seguirà.
Ciò che però la vittoria di Tsipras pone con rinnovata evidenza sul tavolo della politica europea è la duplice questione che già era emersa durante la scorsa campagna elettorale europea, ma purtroppo rapidamente riassorbita da questi mesi di avvio della nuova legislatura. Ed essa consisteva, da un lato, nell’affrontare finalmente in modo risolutivo la questione aurea (scritta negli stessi Trattati, art. 3), ovvero che la promozione di posti di lavoro e crescita sostenibile, assieme ad una adeguata responsabilità di bilancio, sono la sfida comune. Dall’altro, risolvere i nodi della governance economica dell’Ue che, come a tutti è noto, resta tutt’ora sostanzialmente incompleta e azzoppata da una sola e forte politica monetaria, da una parziale politica bancaria, dall’assenza di una politica fiscale ed economica, industriale e sociale comune. Era il pacchetto dei quattro Presidenti di tre anni fa, qualcuno lo ricorda? Era la conclusione del Patto per l’occupazione e la crescita del giugno 2012 che prevedeva 120 miliardi di nuovi investimenti di cui rimase poco o nulla.
Insomma è il complesso nodo, non delegato ai singoli governi nazionali con la sorveglianza europea, di una comune presa d’atto che a sette anni dall’esplosione della crisi è l’intera Europa a essere ancora malata, mentre altri non lo sono (USA), e che bisogna operare un riequilibrio strutturale della governance europea, che veda una gestione comune del debito denominato in Euro (o almeno di una sua parte), di politiche fiscali comuni, di nuove risorse per investimenti strategici e anche d’investimenti per la coesione sociale e territoriale, che in particolare soccorrano con risorse fresche coloro che stanno peggio. Ci ha provato anche la Presidenza italiana dell’Ue a spingere su questa partita, ma per ora vi è solo un piccolo allentamento delle regole di flessibilità. Per il resto si vedrà, magari in estate se e come decollerà il Piano d’investimenti di Juncker. Al momento l’unica istituzione che sembra assumere decisioni coraggiose e non sempre unanimi è la Banca centrale europea, ma la politica monetaria, pur giocata in tutte le possibilità, da sola può solo acquistare tempo. Ci vogliono profonde riforme e anche nuove politiche di investimento costruite insieme.
A Tsipras, e ai suoi alleati, ora sta trovare una buona soluzione per la Grecia. A tutti gli altri, insieme, affrontare finalmente con coraggio i grandi nodi di fondo e i dilemmi che ne conseguono. Prime delle elezioni britanniche e prima di quelle spagnole. Altrimenti cambierà davvero poco.
Luca Jahier
Presidenza del Comitato economico e sociale europeo
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