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    In view of current strategic uncertainties, the EU has no choice other than to strengthen its security and defence policy, whilst at the same time continue to prioritise its peaceful strategies.

    The EU has to confront a difficult situation: the UK’s departure, tensions with Russia, the terrorist threat, a significant increase in pressures due to migration mainly from areas of conflict.

    Faced with this situation, Europeans turn in the first instance to their own national institutions, a state of affairs which may eventually threaten the EU’s political cohesion. The latter therefore has a duty to prove to Europeans in practical terms that it is the most effective level for taking decisions for their protection.

    It is to this end that the strengthening of internal and external security aspects was one of the main objectives of the road-map adopted by the leaders of the 27 member states in Bratislava on the 16 September 2016 in reaction to the UK’s decision to leave.

    The principles of the EU’s security and defence policy

    In terms of external security, the EU already has a sound juridical and institutional experience. Since 1998-1999 it has drawn up a Common Security and Defence Policy (CSDP) which allows it to lead civilian and military missions with a view to keeping the peace, preventing conflicts, and strengthening international security.

    Within this framework, European forces are today a presence in the Mediterranean (to prevent migrant trafficking), the Central African Republic, Mali and Somalia (military training), on the Somali coast (fight against piracy), and in Bosnia-Herzgovenia (peace-keeping). The Union is also leading about ten civilian missions offering support to police forces as well as missions as observers.

    The CSDP missions are under the authority of the EU Council and the High Representative for foreign affairs and security policy assisted by a permanent political/military structure (political and security committee, military committee).

    In addition, there exists the European Defence Agency to improve European defence cooperation. However, its achievements are modest. The majority of Member States have chosen to entrust most of their collective management of external security to NATO.

    Towards a more effective and ambitious European security and defence policy?

    During the second semester of 2016, the 27 Member States decided to strengthen the CSDP by adopting the EU Global Strategy drawn up by the High Representative and approved by the European Council in June. In order to strengthen Europe’s strategic autonomy, they adopted in November 2016 an important programme of common actions in relation to defence. Its implementation chiefly concerns the following areas; strengthening of civilian and military capabilities in crisis management, in particular through the establishment of a European staff, the creation of a military equipment fund which would eventually (after 2020) be allocated 5 billion euros for investments and 500 million euros for research, an increase in defence aid from member nations to progressively bring it to represent 2% of GDP. In addition, the EU intends to better contribute to the stability of partner countries.

    The election of Donald Trump to the presidency of the United States has given this programme a new urgency. The new administration is making the American guarantee of European security contingent on there being a significant increase in European defence efforts. This request for Europe to take financial responsibility for a greater part of the cost of its own security seems legitimate since a sharing of the burden brings with it a sharing of responsibilities.

    Stumbling blocks to be avoided

    Two stumbling blocks will however need to be avoided.

    Protecting the necessary transatlantic bond could not justify actions contrary to the values of European interests such as the 2003 invasion of Iraq, the consequence of which was to increase instability in the Middle East.

    In addition, the EU will need to be wary of an excessive militarisation of its security policy. Its non-military strategies, notably in the economic domain, prevention strategy, its participation in the collective security mechanisms of the United Nations and the Organisation for Security and Co-operation in Europe (OSCE) contribute to its security just as much as does a single military deterrence. The objective of disarmament, including nuclear must be integrated within the security strategy of Europe. Finally, the need for a hefty increase in military expenditure of up to 2% of GDP is far from being a given considering the risk of the arms race it might engender.

    Michel Drain
    Research Associate at l’Institut français des relations internationales (IFRI)
    Member of Justice et Paix France

    (source: Europeinfos #203)

    Data l’attuale incertezza strategica, l’UE non ha altra scelta che rafforzare la sua politica di difesa e sicurezza, pur continuando a privilegiare i propri strumenti civili di pace.

    L’Unione europea si trova ad affrontare una congiuntura difficile: uscita del Regno Unito, tensioni con la Russia, minaccia terroristica, forte aumento della pressione migratoria proveniente soprattutto da aree di conflitto. Di fronte a questa situazione, gli europei si rivolgono innanzitutto alle rispettive autorità nazionali, rischiando di mettere fine alla coesione politica dell’Unione. Essa deve quindi dimostrare concretamente agli europei di rappresentare il livello decisionale più efficace per la loro protezione. È a tal fine che il rafforzamento della sicurezza interna ed esterna è tra i principali obiettivi della tabella di marcia adottata dai leader dei 27 Stati membri a Bratislava il 16 settembre 2016, in risposta alla decisione del Regno Unito di ritirarsi.

    I fondamenti della politica di sicurezza e di difesa dell’Unione europea

    In materia di sicurezza esterna, l’UE ha già un solido corpo giuridico e istituzionale. Nel 1998-1999 ha elaborato una Politica di sicurezza e di difesa comune (Psdc), che consente di svolgere missioni civili e militari per il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale. In questo contesto, le forze europee sono oggi presenti nel Mediterraneo (prevenzione del traffico di migranti), nella Repubblica Centrafricana, in Mali e Somalia (formazione militare), sulle coste somale (lotta contro la pirateria) e in Bosnia Erzegovina (mantenimento della pace). L’Unione ha anche condotto una dozzina di missioni civili a sostegno delle forze di polizia e missioni di osservazione. Le missioni della Psdc sono poste sotto l’autorità del Consiglio dell’Ue e dell’Alto rappresentate dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza e sono assistite da una struttura politico-militare permanente (Comitato politico e di sicurezza, Comitato militare). Inoltre vi è l’Agenzia europea di difesa che ha come missione migliorare la cooperazione europea nel settore degli armamenti. I risultati sono però modesti. È fondamentalmente alla NATO che la maggior parte degli Stati membri ha scelto di affidare la gestione collettiva della propria sicurezza esterna.

    Verso una politica europea di sicurezza e di difesa più efficace e ambiziosa?

    Durante la seconda metà del 2016, i 27 hanno deciso di rafforzare la Psdc fondandosi sulla Strategia globale dell’Unione elaborata all’Alto Rappresentante e approvata dal Consiglio europeo di giugno. Per rafforzare l’autonomia strategica dell’Europa, hanno adottato nel novembre 2016 un vasto programma di azioni comuni in materia di difesa. La loro realizzazione riguarda principalmente le seguenti aree: rafforzamento delle capacità civili e militari di gestione delle crisi, in particolare con la creazione di un quartier generale militare europeo; la creazione di un fondo per gli equipaggiamenti e le tecnologie militari che potrebbe, a termine (dopo il 2020), essere dotato di 5 miliardi di euro per gli investimenti e 500 milioni di euro per la ricerca; innalzamento dello sforzo di difesa dei Paesi membri per portarlo gradualmente al 2% del Pil. Inoltre, l’Unione intende meglio contribuire alla stabilità dei Paesi partner.

    L’elezione alla presidenza degli Stati Uniti di Donald Trump ha dato a questo programma una nuova urgenza. La nuova amministrazione lega infatti la garanzia di sicurezza americana a un aumento significativo negli sforzi per la difesa europea. Questa richiesta di sostegno da parte dell’Europa di una quota maggiore del costo della propria sicurezza è legittima, dal momento che alla condivisione degli oneri corrisponde anche una condivisione della responsabilità.

    Le insidie da evitare

    Si dovranno però evitare due insidie: la necessaria salvaguardia del legame transatlantico non potrà giustificare azioni contrarie ai valori europei e agli interessi europei, come l’invasione dell’Iraq nel 2003, che ha portato a un’ulteriore instabilità in Medio Oriente.

    L’Unione dovrà anche evitare un’eccessiva militarizzazione della sua politica di sicurezza. I suoi strumenti civili, in particolare nel campo economico, la sua strategia di prevenzione, la partecipazione ai meccanismi di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite o dell’OSCE contribuiscono alla sua sicurezza almeno quanto la deterrenza militare. L’obiettivo del disarmo, compreso il nucleare, dovrebbe essere integrato nella strategia di sicurezza europea. Infine, la necessità di un forte aumento della spesa militare fino al 2% del Pil è tutt’altro che ovvia, dato il rischio alla corsa agli armamenti che può ingenerare.

    Michel Drain
    ricercatore associato presso l’Istituto Francese di Relazioni Internazionali (IFRI)
    membro di Giustizia e Pace Francia

    (fonte: Europeinfos #203; traduzione italiana a cura di Eurcom)


    Quelles finalités pour la politique européenne de sécurité et de défense?

    Face aux incertitudes stratégiques actuelles, l’UE n’a d’autre choix que de renforcer sa politique de défense et de sécurité tout en continuant de privilégier ses instruments civils de paix.

    L’Union européenne doit faire face à une conjoncture difficile : départ du Royaume-Uni, tensions avec la Russie, menace terroriste, forte augmentation de la pression migratoire en provenance notamment des zones de conflit.

    Face à cette situation, les Européens se tournent d’abord vers leurs autorités nationales, risquant de menacer à terme la cohésion politique de l’Union. Celle-ci se doit donc de démontrer concrètement aux Européens qu’elle est le niveau de décision le plus efficace pour leur protection.

    C’est à cette fin que le renforcement de la sécurité intérieure et extérieure figure parmi les principaux objectifs de la feuille de route adoptée par les dirigeants des 27 Etats membres à Bratislava le 16 septembre 2016 en réaction à la décision de retrait du Royaume-Uni.

    Les bases de la politique de sécurité et de défense de l’Union européenne

    En matière de sécurité extérieure, l’Union européenne dispose d’ores et déjà d’un acquis juridique et institutionnel solide. Elle a élaboré depuis 1998-1999 une Politique de sécurité et de défense commune (PSDC) qui lui permet de mener des missions civiles et militaires en vue du maintien de la paix, de la prévention des conflits et du renforcement de la sécurité́ internationale.

    Dans ce cadre, des forces européennes sont aujourd’hui présentes en Méditerranée (prévention du trafic de migrants), en République centrafricaine, au Mali et en Somalie (formation militaire), sur les côtes somaliennes (lutte contre la piraterie) et en Bosnie-Herzégovine (maintien de la paix). L’Union conduit également une dizaine de missions civiles de soutien aux forces de police ainsi que des missions d’observation.

    Les missions de la PSDC sont placées sous l’autorité du Conseil de l’UE et de la Haute Représentante pour les affaires étrangères et la politique et de sécurité assistés d’une structure politico-militaire permanente (comité politique et de sécurité, comité militaire).

    Par ailleurs une Agence européenne de défense a pour mission d’améliorer la coopération européenne en matière d’armement.

    Les réalisations restent cependant modestes. C’est pour l’essentiel à l’OTAN que la plupart des Etats membres ont choisi de confier la gestion collective de leur sécurité extérieure.

    Vers une politique européenne de sécurité et de défense plus efficace et ambitieuse ?

    Au cours du second semestre 2016, les 27 ont décidé de renforcer la PSDC en s’appuyant sur la Stratégie globale de l’Union élaborée par la Haute Représentante et approuvée par le Conseil européen en juin. Pour renforcer l’autonomie stratégique de l’Europe, ils ont adopté en novembre 2016 un important programme d’actions communes en matière de défense. Sa mise en œuvre concerne principalement les domaines suivants : renforcement des capacités civiles et militaires de gestion de crise, notamment par l’établissement d’un état-major européen, création d’un fonds d’équipement militaire qui pourrait à terme (après 2020) être doté de 5 milliards d’euros pour les investissements et 500 millions d’euros pour la recherche, relèvement de l’effort de défense des pays membres pour le porter progressivement à 2 % du PIB. Par ailleurs l’Union entend mieux contribuer à la stabilité des pays partenaires.

    L’élection à la présidence des États-Unis de Donald Trump a donné à ce programme une urgence nouvelle. La nouvelle administration lie en effet la garantie américaine de sécurité à une augmentation significative des efforts de défense européens. Cette demande de prise en charge par l’Europe d’une plus grande part du coût de sa propre sécurité apparaît légitime, dès lors qu’au partage du fardeau répond aussi un partage des responsabilités.

    Les écueils à éviter

    Deux écueils devront cependant être évités : la nécessaire sauvegarde du lien transatlantique ne saurait justifier des actions contraires aux valeurs et intérêts européens comme l’invasion de l’Irak de 2003 qui a eu pour conséquence d’accroître l’instabilité au Moyen-Orient.

    L’Union devra en outre se garder d’une militarisation excessive de sa politique de sécurité. Ses instruments civils, notamment dans le domaine économique, sa stratégie de prévention, sa participation aux mécanismes de sécurité collective de l’ONU ou de l’OSCE contribuent à sa sécurité tout autant que la seule dissuasion militaire. L’objectif de désarmement, y compris nucléaire, devra être intégré à la stratégie de sécurité de l’Europe. Enfin, la nécessité d’une forte augmentation des dépenses militaires jusqu’à 2 % du PIB est loin d’être évidente, compte tenu des risques de course aux armements qu’elle peut faire naître.

    Michel Drain
    chercheur associé à l’Institut français des relations internationales (IFRI)

    membre de Justice et Paix France

    (source: Europeinfos #203)


    Aufgaben und Ziele der Europäischen Sicherheits- und Verteidigungspolitik

    Angesichts der aktuellen strategischen Unwägbarkeiten bleibt der EU nichts anderes übrig, als einerseits ihre Sicherheits- und Verteidigungspolitik zu intensivieren, andererseits aber weiterhin auf ihre zivilen friedensfördernden Instrumente zu setzen.

    Die Europäische Union steht vor wichtigen Herausforderungen: das Ausscheiden der Briten aus der EU, das angespannte Verhältnis zu Russland, die terroristische Bedrohung und der starke Anstieg der Migrationsdrucks, insbesondere aus Konfliktgebieten.

    In dieser Situation vertrauen die Europäer vorrangig auf ihre nationalen Regierungen, was aber mittel- bis langfristig den politischen Zusammenhalt der EU bedroht. Aufgabe der EU ist es somit, den Menschen konkret aufzuzeigen, dass sie die beste Entscheidungsebene ist, um ihren Bürgerinnen und Bürgern Schutz zu bieten.

    Genau dies bezwecken die 27 EU-Mitgliedstaaten, die in Bratislava am 16. September 2016 als Reaktion auf die Entscheidung der Briten, die EU zu verlassen, einen Fahrplan beschlossen haben, zu dessen vorrangigen Zielen auch die Stärkung der inneren und äußeren Sicherheit zählt.

    Grundlagen der Sicherheits- und Verteidigungspolitik der Europäischen Union

    In Sachen äußere Sicherheit verfügt die Europäische Union bereits über einen soliden rechtlichen und institutionellen Rahmen. In den Jahren 1998 und 1999 erarbeitete sie die Gemeinsame Sicherheits- und Verteidigungspolitik (GSVP) als Grundlage für die Durchführung ziviler und militärischer Missionen zur Aufrechterhaltung von Frieden, zur Vorbeugung von Konflikten und zur Stärkung der internationalen Sicherheit.

    In diesem Rahmen sind europäische Streitkräfte im Mittelmeer (Bekämpfung von Menschenschmuggel), in der Zentralafrikanischen Republik, in Mali und in Somalia (militärische Ausbildung), vor den Küste Somalias (Bekämpfung der Piraterie) und in Bosnien-Herzegowina (friedenserhaltende Maßnahmen) stationiert. Die EU leitet zudem rund ein Dutzend ziviler Missionen (Polizei- und Beobachtungsaufgaben).

    Die Entscheidungsgewalt über die Missionen der GSVP liegt beim Rat der Europäischen Union sowie bei der Hohen Vertreterin der Union für die Außen- und Sicherheitspolitik. Unterstützt werden sie dabei von ständigen politisch-militärischen Instanzen (politisches und sicherheitspolitisches Komitee, Militärausschuss).

    Darüber hinaus gibt es die Europäische Verteidigungsagentur, deren Aufgabe darin besteht, die europäische Zusammenarbeit im Rüstungssektor zu verbessern.

    Insgesamt wird jedoch nur relativ wenig konkret umgesetzt. Die Mehrheit der EU-Mitgliedstaaten setzt mit Blick auf die gemeinsame Organisation der äußeren Sicherheit vielmehr auf die NATO.

    Eine ehrgeizigere und wirksamere europäische Sicherheits- und Verteidigungspolitik?

    Indes haben die 27 EU-Mitgliedstaaten im zweiten Halbjahr 2016 eine Stärkung der GSVP beschlossen. Hierzu stützen sie sich auf die von der Hohen Vertreterin erarbeiteten und im Juni vom Europäischen Rat verabschiedeten Globalen Strategie der Union. Zur Stärkung der strategischen Autonomie Europas haben sie im November 2016 einen Europäischen Verteidigungs-Aktionsplan beschlossen, der folgende wichtigen Maßnahmen umfasst: Intensivierung der zivilen und militärischen Krisenmanagementkapazitäten, insbesondere durch Einrichtung eines europäischen Krisenstabs, die Schaffung eines Fonds zur Verbesserung der gemeinsamen Verteidigungsfähigkeiten, der mittel- bis langfristig (nach 2020) fünf Milliarden Euro für Investitionen und 500 Millionen Euro für Forschungsprojekte umfassen soll, und die schrittweise Aufstockung der Verteidigungshaushalte der einzelnen Mitgliedstaaten auf zwei Prozent ihres Bruttoinlandsprodukts. Zudem will die Union verstärkt zur Stabilität ihrer Partnerländer beitragen.

    Mit der Wahl Donald Trumps zum amerikanischen Präsidenten hat dieses Programm an Dringlichkeit gewonnen. Die neue US-Regierung knüpft ihre Sicherheitsgarantien nämlich an eine deutliche Erhöhung der europäischen Verteidigungsausgaben. Ihre Forderung, die Europäer müssten einen größeren Anteil an den Kosten für ihre eigene Sicherheit übernehmen, scheint legitim, zumal eine Lastenteilung auch mit geteilten Verantwortlichkeiten einhergeht.

    Klippen, die es zu umschiffen gilt

    Es gilt jedoch zwei Klippen zu umschiffen: Zum einen darf das sicherlich notwendige Festhalten am transatlantischen Bündnis keine Aktionen rechtfertigen, die den Werten und Interessen Europas zuwiderlaufen, wie etwa der Einmarsch in den Irak 2003, der maßgeblich zur Verschlechterung der ohnehin instabilen Lage im Nahen und Mittleren Osten beigetragen hat.

    Zum anderen sollte sich Europa vor einer übermäßigen Militarisierung seiner Sicherheitspolitik hüten. Seine zivilen Instrumente, insbesondere im Wirtschaftssektor, seine Präventionsstrategie, seine Teilhabe an den gemeinsamen Sicherheitsmechanismen der UNO oder der OSZE tragen genauso zu seiner Sicherheit bei wie militärische Abschreckung. Das Ziel der Abrüstung, auch im nuklearen Bereich, sollte Teil der Sicherheitsstrategie Europas sein. Zudem ist eine Erhöhung der Rüstungsausgaben auf zwei Prozent des BIP alles andere als selbstverständlich, denn damit wächst auch die Gefahr eines neuen Rüstungswettlaufs.

    Michel Drain
    wissenschaftlicher mitarbeiter am französischen Institut für internationale Beziehungen (IFRI)
    mitglied von Justitia et Pax Frankreich

    (quelle: Europeinfos #203)

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